
Ve li ricordate i proclami del “Protocollo di Kyoto”? Il refrain numerico del “20-20-20” di cui tutti si sono riempiti la bocca? Bene. Il libro di Adriana Sferra, “Ultima chiamata: uscita 2020″, tratta proprio di questo: del disincanto e dell’imbarazzo rispetto a traguardi irraggiungibili che nessuno seriamente si è posto in agenda e di ciò che – concretamente – è ancora possibile fare. Il primo capitolo del libro è esplicito fin dal titolo (“Comunicare per far capire, capire per agire”) e prende spunto dalla convinzione che la comunicazione possa l’impossibile. L’intento è quello di distanziarsi mille miglia dall’ennesima elencazione di maledizioni, disgrazie e ruberie che hanno accompagnato gli ultimi duecento anni di cosiddetto “sviluppo dell’umanità”, con un picco negativo tutto concentrato negli ultimi venti. L’autrice non intende assolutamente aggiungere il suo “Ultima chiamata…” alle centinaia di libri e alle migliaia di articoli che, ogni anno, trattano di effetto serra, economia sostenibile e o biodiversità e per questo confina ad una nota di apertura un “elenco di emergenze” a cui, ormai, siamo assuefatti.
Per scrupolo ve le ricordiamo e promettiamo di non parlarne più: “Nel mese di maggio del 2015 secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration, la CO2 supera per la prima volta la barriera delle 400 ppm e secondo l’Istituto per l’Ambiente entro il 2100 si prevedono: 1,8/5,4 gradi centigradi in più l’aumento delle temperature; 2,5/7,0 gradi l’aumento in estate; 14/59 in più le notti tropicali con temperature sopra i 20 gradi: 10/39 in meno le notti con gelo; 19/56 in più i giorni estivi (temperatura superiore ai 25 gradi); 35 in più i giorni consecutivi senza pioggia. Secondo la NASA tra i numerosi problemi da affrontare: 30-50% la riduzione dell’acqua disponibile nel Mediterraneo; 15-35 % la riduzione della resa agricola in Africa; da 7 a 300 milioni le persone coinvolte dalle inondazioni causate dall’aumento della temperatura…”. La solita “apocalisse annunciata” che però non smuove, non graffia, non trova “rispondenze” e, di fatto, rende la comunicazione impossibile. Qualcuno, infatti, è andato oltre e suggerisce come una delle poche vie di uscita… quella legale. È il caso, sempre secondo l’autrice, dell’associazione “Urgenda” che ha promosso una class action di quasi 900 persone per inadempienze del Governo olandese sugli interventi anti “effetto serra”. Procedura, per inciso, che – pare – abbia dato frutti.
Su cosa, come e perché comunicare dati scientifici (abbastanza) di dominio pubblico, in quale modo renderli comprensibili e “cogenti” nella loro semplicità, è uno dei leit-motiv del libro, in modo da mettere a nudo le motivazioni di una sostanziale freddezza della società, inadempiente e insensibile… Se non di fronte a grandi catastrofi e ad effetti pesanti per la salute e l’economia.
Netta e precisa è, di conseguenza, la requisitoria nei confronti della politica “incapace di fornire governance adattiva”, cioè forme di gestione dell’ordinario con attenzione alle risorse a disposizione e con obiettivi di riequilibrio complessivo su tutti i livelli. In pratica un’attenzione alla complessità di “Gea” combinata con ciò che effettivamente possono fare le nazioni del mondo, le loro economie, i loro cittadini. Un concetto non nuovissimo – di “economia circolare” si discute almeno dal 2012 – che è parte integrante del “Manifesto for a Resource Efficient Europe”, uno dei tanti documenti prodotti dalla Ue, che “dovrebbe” caratterizzare gli indirizzi economico politici del nostro continente, incardinandone i principi a livello mondiale.
Nel “Manifesto” citato ci sono indicazioni chiare di strumenti a disposizione, come i Fondi Europei per lo Sviluppo Regionale (FESR), che non aspettano altro che di essere utilizzati pienamente. È sempre Adriana Sferra a ricordarci il gap negativo di cui continuiamo a patire noi italiani con esborsi a favore dell’Europa di un terzo superiori a quanto veramente si riesce a riportare in Italia con progetti e programmi adeguati. Ci rammenta anche che si sono affinati strumenti legislativi, come la L 68/2015 sugli “Ecoreati” o il D.lgs n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente), che – insieme alla estensione di operatività della Via e della Valutazione Ambientale Strategica – potrebbero aiutare molto. Sempre che questo aiuto sia gradito e, soprattutto, nei piani di chi dovrebbe avere a cuore la tutela del territorio, il lavoro, l’ambiente, la salute…
Data la competenza specifica dell’autrice (che è architetto DdR, ricercatore presso il Dipartimento di Pianificazione, Design, Tecnologia dell’Architettura della “Sapienza” di Roma, insegna “Materiali e Tecnologie degli elementi costruttivi” nel Corso di Laurea Magistrale in Architettura) non poteva non avere rilievo un’ampia disamina di quanto si potrebbe fare oggi nel campo dell’edilizia compatibile, sia in termini di progettazione che di materiali. Proprio per questo viene dedicato un intero capitolo alla “Domotica” come nuova possibilità di innovazione di ambienti accoglienti, funzionali e con consumi ridottissimi.
Un libro che attacca il “buonismo” e l’approssimazione di chi, pur di non dover intervenire in prima persona è disposto a chiudere un occhio o, come scrive la Sferra a proposito di deroghe ai provvedimenti: “Misure (quelle prevista per legge) a volte escluse se l’imputato mette i luoghi in sicurezza o li ripristina”. La Sferra suggerisce altre strade, quelle della determinazione e del coraggio, dello studio appassionato e della voglia di innovazione, con un occhio particolare ai giovani e a chi, in ambito accademico, scientifico o politico, ha possibilità di orientare scelte e futuro, andando oltre il proprio “particulare”.
Pierluigi Cavalchini
L’intervista al Salone del Libro di Torino 2016